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Salvatore Quasimodo, Poesias recolhidas na internet, reunidas em Antologia.
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Biografia
Salvatore Quasimodo nasce a Modica (Ragusa) il 20 agosto del 1901 e trascorre gli anni dell'infanzia in piccoli paesi della Sicilia orientale, seguendo il padre che era capostazione delle Ferrovie dello Stato. Subito dopo il catastrofico terremoto del 1908 va a vivere a Messina, dove Gaetano Quasimodo era stato chiamato per riorganizzare la locale stazione. Prima dimora della famiglia, come per tanti altri superstiti, furono i vagoni ferroviari.
Un'esperienza di dolore tragica e precoce che avrebbe lasciato un segno profondo nell'animo del poeta. Nella città dello Stretto Quasimodo compie gli studi fino al conseguimento nel 1919 del diploma presso l'Istituto Tecnico "A. M. Jaci", sezione fisico-matematica.
All'epoca in cui frequenta lo "Jaci" risale un evento di fondamentale importanza per la sua formazione umana e artistica: l'inizio del sodalizio con Salvatore Pugliatti e Giorgio La Pira, che sarebbe poi durato tutta la vita. Negli anni messinesi Quasimodo comincia a scrivere versi, che pubblica su riviste simboliste locali.
Nel 1919, appena diciottenne, lascia la Sicilia e si stabilisce a Roma.
In questo periodo continua a scrivere versi che pubblica su riviste locali soprattutto di Messina, e trova il modo di studiare in Vaticano il latino e il greco presso monsignor Rampolla del Tindaro.
L'assunzione nel 1926 al Ministero dei Lavori Pubblici, con assegnazione al Genio Civile di Reggio Calabria, assicura finalmente a Quasimodo la sopravvivenza quotidiana.
L'attività di geometra, per lui faticosa e del tutto estranea ai suoi interessi letterari, sembra allontanarlo sempre più dalla poesia e, forse per la prima volta, Quasimodo deve considerare naufragate per sempre le proprie ambizioni poetiche.
Tuttavia, il riavvicinamento alla Sicilia, i contatti ripresi con gli amici messinesi della prima giovinezza, soprattutto il "ritrovamento" con Salvatore Pugliatti, insigne giurista e fine intenditore di poesia, servono a riaccendere la volontà latente, a far sì che Quasimodo riprenda i versi del decennio romano, per limarli e aggiungerne di nuovi.
Nel 1929 Quasimodo si reca a Firenze, dove il cognato Elio Vittorini lo introduce nell'ambiente di "Solaria", facendogli conoscere i suoi amici letterati, da Alessandro Bonsanti, ad Arturo Loira, a Gianna Manzini, a Eugenio Montale, che intuiscono subito le doti del giovane siciliano. E proprio per le edizioni di "Solaria" esce nel 1930 "Acque e terre", il primo libro della storia poetica di Quasimodo, accolto con entusiasmo dai critici dell'epoca, che salutano la nascita di un nuovo poeta.
Nel 1932 vince il premio dell'Antico Fattore, patrocinato dalla rivista e nello stesso anno, per le edizioni di "circoli", esce Oboe sommerso.
Nel 1934 Quasimodo si trasferisce a Milano, che segna una svolta particolarmente significativa nella sua vita e non solo artistica. Accolto nel gruppo di "corrente" si ritrovò al centro di una sorta di società letteraria, di cui fanno parte poeti, musicisti, pittori, scultori.
Nel 1936 Quasimodo pubblica con G. Scheiwiller Erato e Apòllion un libro fortunato con cui si conclude la fase ermetica della sua poesia. Nel 1938 lascia il lavoro al Genio Civile e inizia l'attività editoriale come segretario di Cesare Zavattini, che più tardi lo farà entrare nella redazione del settimanale il "Tempo". Nel 1938, per le "edizioni primi piani" esce la prima importante raccolta antologica Poesie, con un saggio introduttivo di Oreste Macrì, che rimane tra i contributi fondamentali della critica quasimodiana. Il poeta intanto collabora alla principale rivista dell'ermetismo, la fiorentina "letteratura". Nel 1939-40 Quasimodo mitte a punto la traduzione dei Lirici greci, che esce nel 1942 nelle edizioni di "corrente" e che, per il suo valore di originale opera creativa, sarà poi ripubblicata e riveduta più volte.
Sempre nel 1942 presso Mondadori esce "Ed è subito sera".
Nel 1941 gli viene concessa, per chiara fama, la cattedra di Letteratura Italiana presso il Conservatorio di musica "G. Verdi" di Milano. Insegnamento che terrà fino all'anno della sua morte.
Durante la guerra, nonostante mille difficoltà, Quasimodo continua a lavorare alacremente: mentre scrive versi, traduce molti Carmina di Catullo, parti dell'Odissea, Il fiore delle Georgiche, il Vangelo secondo Giovanni, Epido re di Sofocle. Numerosissime le sue traduzioni: da Ruskin, Eschilo, Shakespeare, Molière, Dall'Antologia Palatina, Dalle Metamorfi di Ovidio e ancora da Cummings, Neruda, Aiken, Euripide, Eluard.
Nel 1947 esce la sua prima raccolta del dopoguerra, "Giorno dopo giorno", libro che segna una svolta nella poesia di Quasimodo, al punto che si parla di un primo e un secondo Quasimodo. Di fatto l'esperienza tragica e sconvolgente della seconda guerra mondiale, il profondo convincimento che l'imperativo categorico era quello di "rifare l'uomo" e che ai poeti spetta un ruolo importante in questa ricostruzione, fanno sì che Quasimodo senta inadeguata ai tempi una poesia troppo soggettiva, e si apre a un dialogo più aperto e cordiale, soffuso di umana pietà, rimanendo però fedele al suo rigore, al suo stile.
Nel 1949 esce presso la Mondadori "La vita non è un sogno", ancora ispirato, anche se un po' stancamente, al clima resistenziale.
Nel 1950 Quasimodo ricevette il premio San Babila e nel 1953 l'Etna-Taormina insieme a Dylan Thomas.
Nel 1954 esce "Il falso e vero verde"; un libro di crisi, con cui inizia una terza fase della poesia di Quasimodo, che rispecchia un mutato clima politico. Dalle tematiche prebelliche e postbelliche si passa a poco a poco a quelle del consumismo, della tecnologia, del neocapitalismo, tipiche di quella "civiltà dell'atomo" che il poeta denuncia mentre si ripiega su se stesso e muta ancora una volta la sua strumentazione poetica. Il linguaggio ridiventa complesso, più scabro, il ritmo si fa più secco, suscitando perplessità in quanti vorrebbero il poeta sempre uguale a se stesso.
Segue nel 1958 "La terra impareggiabile", premio Viareggio. Ancora nel 1958 Quasimodo mette a punto l'antologia della Poesia italiana del dopoguerra e nello stesso anno compie un viaggio in URSS, nel corso del quale viene colpito da infarto, cui segue una lunga degenza all'ospedale Botkin di Mosca.
Nel 1959 Salvatore Quasimodo riceve il premio Nobel per la letteratura. Al Nobel seguiranno moltissimi scritti e articoli sulla sua opera, con un ulteriore incremento delle traduzioni.
Nel 1960, dall'Università di Messina gli viene conferita la laurea honoris causa.
Sempre nel 1960 sul settimanale "Le Ore" gli viene affidata una rubrica di "colloqui coi lettori", che terrà fino al 1964, quando passerà al "tempo" con una rubrica simile.
Nel 1966 Quasimodo pubblica il suo ultimo libro "Dare e avere"; un titolo emblematico per una raccolta che è un bilancio di vita, quasi un testamento spirituale.
Nel 1967 l'Università di Oxford gli conferisce la laurea honoris causa. Colpito da ictus il 14 giugno 1968 ad Amalfi, dove si trova per presiedere un premio di poesia, muore sull'auto che lo trasporta a Napoli.
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Dare e Avere
Nulla mi dai, non dai nulla
tu che mi ascolti. Il sangue
delle guerre s’è asciugato,
il disprezzo è un desiderio puro
e non provoca un gesto
da un pensiero umano,
fuori dall’ora della pietà.
Dare e avere. Nella mia voce
c’è almeno un segno
di geometria viva,
nella tua, una conchiglia
morta con lamenti funebri.
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Dar e Ter (Tradução de "Dare e Avere")
Nada me dás, não dás nada
tu que me escutas. O sangue
das guerras secou,
o desprezo é um desejo puro
e não provoca nem o gesto
de um pensamento humano,
fora da hora da piedade.
Dar e ter. Em minha voz
há ao menos um signo
de geometria viva,
na tua, uma concha
morta com lamentos fúnebres.
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Non ho Perduto Nulla
Sono ancora qui, il sole gira
alle spalle come un falco e la terra
ripete la mia voce nella tua.
E ricomincia il tempo visibile
nell’occhio che riscopre la luce.
Non ho perduto nulla.
Perdere è andare di là
da una diagramma del cielo
lungo movimenti di sogni, un fiume
pieno di foglie.
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Não Perdi Nada (Tradução de "Non ho Perduto Nulla")
Estou Aqui agora, o sol gira
às minhas costas como um falcão e a terra
repete mimha voz na tua.
Recomeça o tempo visível
no olho que redescobre a luz.
Não perdi nada.
perder é andar mais além
de um diagrama do céu
em movimentos de sonhos, um rio
pleno de folhas.
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Basta un Giorno a Equilibrare il Mondo
L’intelligenza la morte il sogno
negano la speranza. In questa notte
a Brasov nei Carpazi, fra alberi
non miei cerco nel tempo
una donna d’amore. L’afa spacca
le foglie dei pioppi ed io
mi dico parole che non conosco,
rovescio terre di memoria.
Un jazz buio, canzoni italiane
passano capovolte sul colore degli iris.
Nello scroscio delle fontane
s’è perduta la tua voce:
basta un giorno a equilibrare il mondo.
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Basta um Dia Para Equilibrar o Mundo (Tradução de "Basta un Giorno a Equilibrare il Mondo")
A inteligência a morte o sonho
negam a esperança. Nesta noite
em Brasov, nos Cárpatos, entre árvores
não minhas, busco no tempo
uma mulher de amor. O mormaço estala
as folhas dos álamos e eu
me digo palavras que não conheço,
derramo terras de memória.
Um jazz escuro, canções italianas
passam tombadas sobre a cor das íris.
No rangido das fontes
se perdeu tua voz:
basta um dia para equilibrar o mundo.
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Ed è Subito Sera
Ognuno sta solo sul cuor della terra
trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera.
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E Derepente a Noite (Tradução de "Ed è Subito Sera")
Cada um está só sobre o coração da terra
trespassado por um raio de sol:
e de repente a noite
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Antico Inverno
Desiderio delle tue mani chiare
nella penombra della fiamma:
sapevano di rovere e di rose;
di morte. Antico inverno.
Cercavano il miglio gli ucceli
ed erano subito di neve;
cosí le parole.
Un po’ di sole, una raggera d’angelo,
e poi la nebbia; e gli alberi,
e noi fatti d’aria al mattino.
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Inverno Antigo (Tradução de "Antico Inverno")
Desejo de tuas mãos claras
na penumbra da chama:
sabiam a carvalho e a rosas;
a morte. Inverno antigo.
Buscavam o milho os pássaros
e de repente eram de neve;
igual as palavras.
Um pouco de sol, uma auréola de anjo,
e depois a névoa; e as árvores,
e nós feitos de ar pela manhã.
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Acqua Morta
Acqua chiusa, sonno delle paludi
che in larghe lamine maceri veleni,
ora bianca ora verde nei baleni,
sei simile al mio cuore.
II pioppo ingrigia d`intorno ed il leccio;
le foglie e le ghiande si chetano dentro,
e ognuna ha i suoi cerchi d`un unico centro
sfrangiati dal cupo ronzar del libeccio.
Cosí, come su acqua allarga
il ricordo i suoi anelli, mio cuore;
si muove da un punto e poi muore:
cosí t`è sorella acquamorta.
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Água Morta (Tradução de "Acqua Morta")
Água estagnada, sonho dos pântanos
que em longa lâmina maceras veneno,
ora branca ora verde nos relâmpagos,
te assemelhas a meu coração.
O álamo se acinzenta em torno do azevinho;
as folhas e as bolotas se aquietam dentro,
e cada uma tem seus círculos de único centro
franzidos pelo profundo zumbido do vendaval.
Assim, como sobre a água
a lembrança estende seus anéis, meu coração;
se move de um ponto e logo morre:
assim tua irmã é água morta.
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Rifugio di Uccelli Notturni
In alto c’è un pino distorto;
sta intento ed ascolta l’abisso
col fusto piegato a balestra.
Rifugio d’uccelli notturni,
nell’ora piú alta risuona
d’un battere d’ali veloce.
Ha pure un suo nido il mio cuore
sospeso nel buio,una voce;
sta pure in ascolto, la notte.
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Refúgio de Pássaros Noturnos (Tradução de "Rifugio di Uccelli Notturni")
No alto um pinho torcido;
está atento e escuta ao abismo
com o tronco dobrado como besta.
Refúgio de pássaros noturnos,
na hora mais alta ressoa
um veloz bater de asas.
Tem pois um ninho meu coração
suspenso na escuridão, uma voz;
está também, à escuta, da noite.
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Isola di Ullisse
Ferma è l’antica voce.
Odo risonanze effimere,
oblio di piena notte
nell’acqua stellata.
Dal fuoco celeste
nasce l’isola di Ulisse.
Fiume lenti portano alberi e cieli
nel rombo di rive lunari.
Le api, amata, ci recano l’oro:
tempo delle mutazioni, segreto.
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Ilha de Ulisses (Tradução de "Isola di Ullisse")
Detida está a antiga voz.
Ouço ressonâncias efêmeras,
olvido de noite cheia
na água estrelada.
Do fogo celeste
nasce a ilha de Ulisses.
Lentos rios levam árvores e céus
no estrondo de margens lunares.
As abelhas, amada, fundeiam o ouro:
tempo das mutações, segredo.
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Oboe Sommerso
Avara pena, tarda il tuo dono
in questa mia ora
di sospirati abbandoni.
Un òboe gelido risillaba
gioia di foglie perenni,
non mie, e smemora;
in me si fa sera:
l’acqua tramonta
sulle mie mani erbose.
Ali oscillano in fioco cielo,
labili: il cuore trasmigra
ed io son gerbido,
e i giorni una maceria.
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Oboé Submerso (Tradução de "Oboe Sommerso")
Avara pena, tarda teu dom
nesta minha hora
de suspirados abandonos.
Um oboé gélido ressilabeia
alegria de folhas perenes,
não minhas, e se desmemoria;
em mim anoitece:
a água transmonta
sobre minhas mãos relvosas.
Asas oscilam em débil céu,
lábeis: o coração transmigra
e eu sou, ermo,
e os dias um escombro.
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Autunno
Autunno mansueto, io mi posseggo
e piego alle tue acque a bermi il cielo,
fuga soave d’alberi e d’abissi.
Aspra pena del nascere
mi trova a te congiunto;
e in te mi schianto e risano:
povera cosa caduta
che la terra raccoglie.
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Outono (Tradução de "Autunno")
Outono manso, eu me pouso
me inclino até tuas aguas para beber o céu,
fuga suave de árvores e abismos.
Áspera pena de nascer
me encontra a ti unido;
e em ti me desgarro e recupero
pobre coisa caída
que a terra recolhe.
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Nell'Antica Luce delle Maree
Cittá d’isola
sommersa nel mio cuore,
ecco discendo nell’antica luce
delle maree, presso sepolcri
in riva d’acque
che una letizia scioglie
d’alberi sognati.
Mi chiamo: si specchia
un eco in amorosa eco,
e il segreto n’è dolce, il trasalire
in ampie frane d’aria.
Una stanchezza s’abbandona
in me di precoci rinascite,
la consueta pena d’esser mio
in un’ora di là dal tempo.
E i tuoi morti sento
nei gelosi battiti
i vene vegetali
fatti men fondçi:
un respirare assorto di narici.
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Na Antiga Luz das Marés (Tradução de "Nell'Antica Luce delle Maree")
Cidade da ilha
submersa em meu coração,
descendo na antiga luz
das marés, perto de sepúlcros
à margem de águas
que uma alegria desata
de árvores sonhadas.
Me chamo: se espelha
um som em amoroso eco,
e o segredo se adoça ao se estremecer
em amplos desprendimentos de ar.
Um cansaço de precoces renascimentos
se abandona em mim,
a habitual pena de ser meu
em uma hora além do tempo.
E teus mortos sinto
nos ciumentos latidos
de veias vegetais
se fazem menos fundos:
um respirar absorto de narizes.
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Appolion
I monti a cupo sonno
supini giacciono affranti.
L’ora nasce
della morte piena, Apòllion;
io sono tardo ancora di membra
e il cuore grava smemorato.
Le mie mani ti porgo
dalle piaghe scordate,
amato distruttore.
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Appolion (Tradução de "Appolion")
Os montes em escuro sono
supinos jazem abatidos.
A hora nasce
da morte plena, Apollion;
sou ainda lerdo de membros
e o coração pesa desmemoriado.
Alongo minhas mãos
de chagas esquecidas,
amado destruidor.
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Airone
Nella palude calda confitto al limo,
caro agli insetti, in me dolora
un airone morto.
Io mi divoro in luce e suono;
battuto in echi squallidi
da tempo a tempo geme un soffio
dimenticato.
Pietá, ch’io non sia
senza voci e figure
nella memoria un giorno.
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Garça (Tradução de "Airone")
No mormaço do pântano, atolada no limo,
festejada pelos insetos, me dói ver
uma garça morta.
Eu me devoro em luz e som;
derrotado, em ecos esquálidos,
de tempo em tempo geme um sopro
esquecido.
Piedade, não seja eu,
sem vozes e figura,
na memória um dia.
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Al Tu Lume Naufrago
Nasco al tuo lume naufrago,
sera d’acque limpide.
Di serene foglie
arde l’aria consolata.
Sradicato dai vivi,
cuore provvisorio,
sono limite vano.
Il tuo dono tremendo
di parole, Signore,
sconto assiduamente.
Destami dai morti:
ognuno ha preso la sua terra
e la sua donna.
Tu m’hai guardato dentro
nell’oscurità delle viscere:
nessuno ha la mia disperazione
nel suo cuore.
Sono un uomo solo,
un solo inferno.
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Ao Teu Lume Náufrago (Tradução de "Al Tu Lume Naufrago")
Nasço no teu lume náufrago,
tarde de águas límpidas.
De serenas folhas
arde o ar consolado.
Erradicado dentre os vivos,
coração provisório,
sou limite vão.
Tua dádiva tremenda
de palavras, Senhor,
desconto assiduamente.
Desperta-me dentre os mortos:
cada um se agarrrou à sua terra
e sua mulher.
Tu me me olhaste dentro
na obscuridade das vísceras:
ninguém tem minha desesperança
No coração.
Sou um homem só,
um só inferno.
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Sovente una Riviera
Sovente una riviera
raggia d’astri solenni,
bugni di zolfo sul mio capo
dondolano.
Tempo d’api: e il miele
è nella mia gola
fresca di suono ancora.
Un corvo, di meriggio gira
su arenarie bige.
Arie dilette: quiete di sole
insegna morte, e notte
parole di sabbia,
di patria perduta.
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Sempre uma Orla (Tradução de "Sovente una Riviera")
Sempre uma orla
irradia astros solenes,
colmeias de enxofre sobre minha cabeça
bimbalham.
Tempo de abelhas: e mel
está em minha garganta
fresca de som ainda.
Um corvo, meio-dia, gira
sobre arenitos cinzentos.
Ares diletos: quietude de sol
indica morte, e noite
palavras de areia,
de pátria perdida.
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Nel Senso di Morte
Ceruli alberi
dove più dolce sueno migra
e nasce gusto alle piogge nuove.
Ad una fronda, docile
la luce oscilla
alle nozze con l’aria;
nel senso di morte,
eccomi, spaventato d’amore.
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No Sentido da Morte (Tradução de "Nel Senso di Morte")
Cerúleas árvores
onde o mais doce som emigra
e toma gosto pelas chuvas novas.
Numa fronde, dócil.
a luz oscila
ao casar-se com o ar;
no sentido de morte,
eis-me aqui, assustado de amor.
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Ride la Gazza, Nera Sugli Aranci
Forse è un segno vero della vita:
intorno a me fanciulli con leggeri
moti del capo danzano in un gioco
di cadenze e di voci lungo il prato
della chiesa. Pietà della sera, ombre
riaccese sopra l’erba cosí verde,
bellisime nel fuoco della luna!
Memoria vi concede breve sonno;
ora, destatevi. Ecco, scroscia il pozzo
per la prima marea. Questa è l’ora:
non più mia, arsi, remoti simulacri.
E tu vento del sud forte di zàgare,
spingi la luna dove nudi dormono
fanciulli, forza il puledro sui campi
umidi d’orme di cavalle, apri
il mare, alza le nuvole dagli alberi:
giá l’airone s’avanza verso l’acqua
e fiuta lento il fango tra le spine,
ride la gazza, nera sugli aranci.
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Ri o Corvo, Negro Sobre as Laranjeiras (Tradução de "Ride la Gazza, Nera Sugli Aranci")
Talvez é um signo verdadeiro da vida:
em torno a mim rapazes com ligeiros
movimentos de cabeça dançam num jogo
de cadências e de vozes ao longo do prado
da igreja. Piedade do ocaso, sombras,
reacesas sobre a grama tão verde,
belíssimas ao fogo da lua.
Memória os concede breve sono;
agora, desperta-os. Eis aqui que cruze o poço
com a primeira maré. Esta é a hora:
não mais minha, abraçados, remotos simulacros.
E tu, vento do sul, forte de azares,
empurra a lua aonde desnudos dormem
rapazes, força ao potro sobre os campos
úmidos de pisadas de éguas, abre
o mar, levanta as nuvens das árvores:
já a garça se adianta até a água
e fareja lenta o barro entre os espinhos,
rí o corvo, negro sobre as laranjeiras.
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Strada di Agrigentum
Lá dura un vento che ricordo acceso
nelle criniere dei cavalli obliqui
in corsa lungo le pianure, vento
che macchia e rode l’arenaria e il cuore
dei telamoni lugubri, riversi
sopra l’erba. Anima antica, grigia
di rancori,torni a quel vento, annusi
il delicato muschio que riveste
i giganti sospinti giú dal cielo.
Come sola allo spazio che ti resta!
E piú t’accori s’odi ancora il suono
che s’allontana largo verso il mare
dove Espero già striscia mattutino:
il marranzano tristemente vibra
nella gola al carraio che risale
il colle nitido di luna, lento
tra il murmure d’ulivi saraceni.
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Estrada de Agrigentum (Tradução de "Estrada de Agrigentum")
Lá persiste um vento que recordo aceso
nas crinas dos cavalos oblíquos
que correm ao longo das planícies, vento
que mancha e rói o arenito e o coração
dos Atlantes lúgubres, supinos
sobre a relva. Alma antiga, gris
de rancores,voltas àquele vento, cheiras
o delicado musgo que reveste
os gigantes arrojados do céu.
Como só ao espaço que te resta!
E mais te afliges se ouves ainda o som
que se distancia amplo até o mar
onde Vênus já serpenteia matutina:
o berimbau tristemente vibra
na garganta do carroceiro que reacende
o cerro nítido de lua, lento
entre o murmúrio de azeitonas sarracenas.
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La Dolce Colina
Lontani uccelli aperti nella sera
tremano sul fiume. E la pioggia insiste
e il sibilo dei pioppi illuminati
dal vento. Come ogni cosa remota
ritorni nella mente. Il verde lieve
della tua veste è qui fra le piante
arse dai fulmini dove s’innalza
la dolce colina d’Ardenno e s’ode
il nibbio sui ventagli di saggina.
Forse in quel volo a spirali serrate
s’affidava il mio deluso ritorno,
l’asprezza, la vinta pietá cristiana,
e questa pena nuda di dolore.
Hai un fiore di corallo sui capelli.
Ma il tuo viso è un’ombra che non muta;
(cosí fa morte). Dalle scure case
del tuo borgo ascolto l’Adda e la pioggia,
o forse un fremere di passi umani,
fra le tenere canne delle rive.
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A Doce Colina (Tradução de "La Dolce Colina")
Longínquos pássaros abertos ao entardecer
tremem sobre o rio. E a chuva insiste
e o assovio dos álamos iluminados
pelo vento. Como toda coisa remota
retornas à mente. O verde leve
de teu vestido está aqui entre as plantas
abrasadas pelos raios onde se levanta
a doce colina de Ardenno e se ouve
o milhafre sobre as ventarolas de sorgo.
Talvez naquele vôo de espirais cerradas
se confiava meu desiludido regresso,
a aspereza, a vencida piedade cristã,
e esta pena nua de dor.
Tens uma flor de coral nos cabelos.
Mas teu rosto é uma sombra que não muda;
(como a morte). Desde as escuras casas
de tua aldeia escuto o Adda e a chuva,
ou talvez um bramir de passos humanos,
entre as ternas canas das margens.
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Già Vola il Fiore Magro
Non sapró nulla della mia vita,
oscuro monotono sangue.
Non sapró chi amavo, chi amo,
ora che qui stretto, ridotto alle mie membra,
nel guasto vento di marzo
enumero i mali dei giorni decifrati.
Già vola el fiore magro
dei rami. Ed io attendo
la pazienza del suo volo irrevocabile.
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Já Voa a Magra Flor (Tradução de "Già Vola il Fiore Magro")
Não saberei nada da minha vida,
escuro monótono sangue.
Não saberei a quem amava, a quem amo,
agora que aqui limitado, reduzido aos meus membros,
no corrompido vento de março
enumero os males dos dias decifrados.
Já voa a magra flor
dos ramos. E eu espero
a paciência de seu vôo irrevogável.
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Scritto Forse Su Una Tomba
Qui lontani da tutti, il sole batte
su i tuoi capelli e vi riaccende il miele,
e a noi vivi ricorda dal suo arbusto
già l’ultima cicala dell’estate,
e la sirena che ulula profonda
l’allarme sulla pianura lombarda.
O voci arse dall’aria, che volete?
Ancora sale la noia de la terra.
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Escrito Talvez Sobre Uma Tumba (Tradução de "Scritto Forse Su Una Tomba")
Aqui, longe de todos, o sol dá
em teus cabelos e os rescende no mel,
e a nós os vivos, de seu arbusto,
já nos recorda a última cigarra do verão,
e a sirene que ulula profunda
o alarme sobre a planície lombarda.
Oh, vozes abrasadas pelo ar. Que quereis?
Agora sobe o enfado da terra.
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Giorno Dopo Giorno
Giorno dopo giorno: parole maledette e il sangue
e l’oro. Ti riconozco, miei simili, mostri
della terra. Al vostro morso è caduta la pietà,
e la croce gentile ci ha lasciati.
E piú non posso tornare nel mio eliso.
Alzeremo tombe in riva al mare, sui campi dilaniati,
ma non uno del sarcofaghi che segnano gli eroi.
Con noi la morte ha piú volte giocato:
s’udiva nell’aria un battere monotono di foglie,
come nella brughiera se al vento di scirocco
la folaga palustre sale sulla nube.
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Dia Após Dia (Tradução de "Giorno Dopo Giorno")
Dia após dia: palavras malditas e o sangue
e o ouro. Os reconheço, meus símiles, oh monstros
da terra. Sob vosso mordisco caiu a piedade
e a cruz gentil nos deixou.
E não posso regressar já a meus Elíseos.
Alçaremos tumbas à beira do mar, nos campos desgarrados,
mas não um dos sarcófagos que assinalam aos heróis.
Conosco a morte tem jogado muitas vezes:
se ouvia no ar um bater monótono de folhas,
como no matagal se ao vento do siroco
o fólio palustre sobe para a nuvem.
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Lettera
Questo silenzio fremo nelle strade,
questo vento indolente, che ora scivola
basso tra le foglie morte o risale
ai colori delle insegne straniere...
forse l’ansia di dirti una parola
prima che si richiuda ancora il cielo
sopra un altro giorno, forse l’inerzia,
il nostro male piú vile...La vita
non è in questo tremendo, cupo, battere
del cuore, non è pietà, non è più
che un gioco del sangue dove la morte
è in fiore. O mia dolce gazzella,
io ti ricordo quel geranio acceso
su un muro crivellato de mitraglia.
O neppure la morte ora consola
piú i vivi, la morte per amore?
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Carta (Tradução de "Lettera")
Este silêncio detido nas ruas,
este vento indolente, que agora resvala
ao rés, entre as folhas mortas, ou remonta
às cores das bandeiras estrangeiras...
Talvez a ânsia de dizer-te uma palavra
antes que se feche outra vez o céu
sobre outro dia, talvez a inércia,
nosso mais vil mal. A vida
não está neste tremendo, escuro, latir
do coração, não é piedade, não é mais
que um jogo de sangue onde a morte
está em flor. Oh!, Minha doce gazela,
te recordo aquele gerânio aceso
num muro crivado pela metralha.
Oh, nem sequer a morte agora consola
mais aos vivos, a morte por amor ?
Topo da Pagina
Colore di Pioggia e di Ferro
Dicevi: morte silenzio solitudine;
come amore, vita. Parole
delle nostre provvisorie immagini.
El il vento s’è elevato leggero ogni mattina
e il tempo colore di pioggia e di ferro
è passato sulle pietre,
sul nostro chiuso ronzio di maledetti.
Ancora la verità è lontana
E dimmi, uomo spaccato sulla croce,
e tu dalle mani grosse di sangue,
come risponderò a quelli che domandano?
Ora, ora: prima che altro silenzio
entre negli occhi, prima che altro vento
salga e altra ruggine fiorisca.
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Cor de Chuva e de Ferro (Tradução de "Colore di Pioggia e di Ferro")
Dizias: morte silêncio solidão;
como amor, vida. Palavras
de nossas provisórias imagens.
O vento levantou-se ligeiro cada manhã
e o tempo, cor de chuva e de ferro
passou sobre as pedras,
sobre nosso nublado zumbido de malditos.
No entanto está longe a verdade.
E, diz-me, homem alquebrado na cruz,
e tu, o das mãos inchadas de sangue,
como responderei àqueles que perguntam?
Ora, ora, antes que outro silêncio
entre nos olhos, antes que outro vento
suba e outro rancor aflore.
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Estate
Cicale, sorelle, nel sole
con voi mi nascondo
nel folto dei pioppi
e aspetto le stelle...
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Alle Fondre dei Salici
E come potevamo noi cantare
con il piede straniero sopra il cuore,
fra i morti abbandonati nelle piazze
sull'erba dura di ghiaccio, al lamento
d'agnello dei fanciulli, all'urlo nero
della madre che andava incontro al figlio
crocifisso sul palo del telegrafo?
Alle fronde dei salici, per voto,
anche le nostre cetre erano appese,
oscillavano lievi al triste vento.
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Uomo Del Mio Tempo
Sei ancora quello della pietra e della fionda,
uomo del mio tempo. Eri nella carlinga,
con le ali maligne, le meridiane di morte,
t'ho visto dentro il carro di fuoco, alle forche,
alle ruote di tortura. T'ho visto: eri tu,
con la scienza esatta persuasa allo sterminio,
senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora,
come sempre, come uccisero i padri, come uccisero
gli animali che ti videro per la prima volta.
E questo sangue odora come nel giorno
quando il fratello disse all'altro fratello:
"Andiamo ai campi". E quell'eco fredda, tenace,
è giunta fino a te, dentro la tua giornata.
Dimenticate, o figli, le nuvole di sangue
salite dalla terra, dimenticate i padri:
Le loro tombe affondano nella cenere,
e gli uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore.
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Alla Notte
Dalla tua matrice
io salgo immemore
e piango.
Camminano angeli, muti
con me; non hanno respiro le cose;
in pietra mutata ogni voce,
silenzio di cieli sepolti.
Il primo tuo uomo
non sa, ma dolora.
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Lamento per il Sud
La luna rossa, il vento, il tuo colore
di donna del Nord, la distesa di neve...
Il mio cuore è ormai su queste praterie,
in queste acque annuvolate dalle nebbie.
Ho dimenticato il mare, la grave
conchiglia soffiata dai pastori siciliani,
le cantilene dei carri lungo le strade
dove il carrubo trema nel fumo delle stoppie,
ho dimenticato il passo degli aironi e delle gru
nell'aria dei verdi altipiani
per le terre e i fiumi della Lombardia.
Ma l'uomo grida dovunque la sorte d'una patria.
Più nessuno mi porterà nel Sud.
Oh, il Sud è stanco di trascinare morti
in riva alle paludi di malaria,
è stanco di solitudine, stanco di catene,
è stanco nella sua bocca
delle bestemmie di tutte le razze
che hanno urlato morte con l'eco dei suoi pozzi,
che hanno bevuto il sangue del suo cuore.
Per questo i suoi fanciulli tornano sui monti,
costringono i cavalli sotto coltri di stelle,
mangiano fiori d'acacia lungo le piste
nuovamente rosse, ancora rosse, ancora rosse.
Più nessuno mi porterà nel Sud.
E questa sera carica d'inverno
è ancora nostra, e qui ripeto a te
il mio assurdo contrappunto
di dolcezze e di furori,
un lamento d'amore senza amore.
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Quasi un Madrigale
Il girasole piega a occidente
e già precipita il giorno nel suo
occhio in rovina e l'aria dell'estate
s'addensa e già curva le foglie e il fumo
dei cantieri. S'allontana con scorrere
secco di nubi e stridere di fulmini
quest'ultimo gioco del cielo. Ancora,
e da anni, cara, ci ferma il mutarsi
degli alberi stretti dentro la cerchia
dei Navigli. Ma è sempre il nostro giorno
e sempre quel sole che se ne va
con il filo del suo raggio affettuoso.
Non ho più ricordi, non voglio ricordare;
la memoria risale dalla morte,
la vita è senza fine. Ogni giorno
è nostro. Uno si fermerà per sempre,
e tu con me, quando ci sembri tardi.
Qui sull'argine del canale, i piedi
in altalena, come di fanciulli,
guardiamo l'acqua, i primi rami dentro
il suo colore verde che s'oscura.
E l'uomo che in silenzio s'avvicina
non nasconde un coltello fra le mani,
ma un fiore di geranio.
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Il Mio Paese è L'Italia
Più i giorni s'allontanano dispersi
e più ritornano nel cuore dei poeti.
Là i campi di Polonia, la piana dì Kutno
con le colline di cadaveri che bruciano
in nuvole di nafta, là i reticolati
per la quarantena d'Israele,
il sangue tra i rifiuti, l'esantema torrido,
le catene di poveri già morti da gran tempo
e fulminati sulle fosse aperte dalle loro mani,
là Buchenwald, la mite selva di faggi,
i suoi forni maledetti; là Stalingrado,
e Minsk sugli acquitrini e la neve putrefatta.
I poeti non dimenticano. Oh la folla dei vili,
dei vinti, dei perdonati dalla misericordia!
Tutto si travolge, ma i morti non si vendono.
Il mio paese è l'Italia, o nemico più straniero,
e io canto il suo popolo, e anche il pianto
coperto dal rumore del suo mare,
il limpido lutto delle madri, canto la sua vita.
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Auschwitz
Laggiù, ad Auschwitz, lontano dalla Vistola,
amore, lungo la pianura nordica,
in un campo di morte: fredda, funebre,
la pioggia sulla ruggine dei pali
e i grovigli di ferro dei recinti:
e non albero o uccelli nell'aria grigia
o su dal nostro pensiero, ma inerzia
e dolore che la memoria lascia
al suo silenzio senza ironia o ira.
Da quell'inferno aperto da una scritta
bianca: " Il lavoro vi renderà liberi "
uscì continuo il fumo
di migliaia di donne spinte fuori
all'alba dai canili contro il muro
del tiro a segno o soffocate urlando
misericordia all'acqua con la bocca
di scheletro sotto le doccie a gas.
Le troverai tu, soldato, nella tua
storia in forme di fiumi, d'animali,
o sei tu pure cenere d'Auschwitz,
medaglia di silenzio?
Restano lunghe trecce chiuse in urne
di vetro ancora strette da amuleti
e ombre infinite di piccole scarpe
e di sciarpe d'ebrei: sono reliquie
d'un tempo di saggezza, di sapienza
dell'uomo che si fa misura d'armi,
sono i miti, le nostre metamorfosi.
Sulle distese dove amore e pianto
marcirono e pietà, sotto la pioggia,
laggiù, batteva un no dentro di noi,
un no alla morte, morta ad Auschwitz,
per non ripetere, da quella buca
di cenere, la morte.
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Al Padre
Dove sull'acque viola
era Messina, tra fili spezzati
e macerie tu vai lungo binari
e scambi col tuo berretto di gallo
isolano. Il terremoto ribolle
da due giorni, è dicembre d'uragani
e mare avvelenato. Le nostre notti cadono
nei carri merci e noi bestiame infantile
contiamo sogni polverosi con i morti
sfondati dai ferri, mordendo mandorle
e mele dissecate a ghirlanda. La scienza
del dolore mise verità e lame
nei giochi dei bassopiani di malaria
gialla e terzana gonfia di fango.
La tua pazienza
triste, delicata, ci rubò la paura,
fu lezione di giorni uniti alla morte
tradita, al vilipendio dei ladroni
presi fra i rottami e giustiziati al buio
dalla fucileria degli sbarchi, un conto
di numeri bassi che tornava esatto
concentrico, un bilancio di vita futura.
Il tuo berretto di sole andava su e giù
nel poco spazio che sempre ti hanno dato.
Anche a me misurarono ogni cosa,
e ho portato il tuo nome
un po' più in là dell'odio e dell'invidia.
Quel rosso del tuo capo era una mitria,
una corona con le ali d'aquila.
E ora nell'aquila dei tuoi novant'anni
ho voluto parlare con te, coi tuoi segnali
di partenza colorati dalla lanterna
notturna, e qui da una ruota
imperfetta del mondo,
su una piena di muri serrati,
lontano dai gelsomini d'Arabia
dove ancora tu sei, per dirti
ciò che non potevo un tempo - difficile affinità
di pensieri - per dirti, e non ci ascoltano solo
cicale del biviere, agavi lentischi,
come il campiere dice al suo padrone:
"Baciamu li mani". Questo, non altro.
Oscuramente forte è la vita.
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Natale
Natale. Guardo il presepe scolpito,
dove sono i pastori appena giunti
alla povera stalla di Betlemme.
Anche i Re Magi nelle lunghe vesti
salutano il potente Re del mondo.
Pace nella finzione e nel silenzio
delle figure di legno: ecco i vecchi
del villaggio e la stella che risplende,
e l'asinello di colore azzurro.
Pace nel cuore di Cristo in eterno;
ma non v'è pace nel cuore dell'uomo.
Anche con Cristo e sono venti secoli
il fratello si scaglia sul fratello.
Ma c'è chi ascolta il pianto del bambino
che morirà poi in croce fra due ladri?
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Lettera Alla Madre
"Mater dolcissima, ora scendono le nebbie,
il Naviglio urta confusamente sulle dighe,
gli alberi si gonfiano d'acqua, bruciano di neve;
non sono triste nel Nord: non sono
in pace con me, ma non aspetto
perdono da nessuno, molti mi devono lacrime
da uomo a uomo. So che non stai bene, che vivi
come tutte le madri dei poeti, povera
e giusta nella misura d'amore
per i figli lontani. Oggi sono io
che ti scrivo. " - Finalmente, dirai, due parole
di quel ragazzo che fuggì di notte con un mantello corto
e alcuni versi in tasca. Povero, così pronto di cuore
lo uccideranno un giorno in qualche luogo. -
"Certo, ricordo, fu da quel grigio scalo
di treni lenti che portavano mandorle e arance,
alla foce dell'Imera, il fiume pieno di gazze,
di sale, d'eucalyptus. Ma ora ti ringrazio,
questo voglio, dell'ironia che hai messo
sul mio labbro, mite come la tua.
Quel sorriso m'ha salvato da pianti e da dolori.
E non importa se ora ho qualche lacrima per te,
per tutti quelli che come te aspettano,
e non sanno che cosa. Ah, gentile morte,
non toccare l'orologio in cucina che batte sopra il muro
tutta la mia infanzia è passata sullo smalto
del suo quadrante, su quei fiori dipinti:
non toccare le mani, il cuore dei vecchi.
Ma forse qualcuno risponde? O morte di pietà,
morte di pudore. Addio, cara, addio, mia dolcissima mater."
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Senza Memoria di Morte
Primavera solleva alberi e fiumi;
la voce fonda non odo,
in te perduto, amata.
Senza memoria di morte,
nella carne congiunti,
il rombo d'ultimo giorno
ci desta adolescenti.
Fatta ramo
fiorisce sul tuo fianco
la mia mano...
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Al Di Là Delle Onde
Al di là delle onde delle colline
Non t'è sfuggita la vita per cabale
o ibridi emblemi di zodiaco o sillabe
e numeri ordinati a riscoprire
il mondo. Ma sei stato in prigionia
a misurare, con la sabbia e il sangue,
i silenzi le voci della morte,
al di là delle onde delle colline.
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Che Lunga Notte
Che lunga notte e luna rosa e verde
al tuo grido tra zagare, se batti
ad una porta come un re di Dio
pungente di rugiade: "Apri, amore, apri! "
Il vento, a corde, dagli Iblei dai coni
delle Madonie strappa inni e lamenti
su timpani di grotte antiche come l'agave e l'occhio del brigante. E l'orsa
ancora non ti lascia e scrolla i sette
fuochi d'allarme accesi alle colline,
e non ti lascia il rumore dei carri
rossi di saraceni e di crociati,
forse la solitudine, anche il dialogo
con gli animali stellati, il cavallo
e il cane la rana le allucinate
chitarre di cicale nella sera.
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Tempio di Zeus ad Agrigento
La ragazza seduta sull'erba alza
dalla nuca i capelli ruvidi e ride
della corsa e del pettine smarrito.
Il colore non dice o se strappato
dalla mano rovente che lontana
saluta dietro un mandorlo o finito
sul mosaico del cervo greco in riva
al fiume o in un fosso di spine viola.
E ride la follia dei sensi, ride
continua alla sua pelle di canicola
meridiana dell'isola
e l'ape lucida zufola e saetta
veleni e vischi d'abbracci infantili.
In silenzio guardiamo questo segno
d'ironica menzogna: e per noi brucia
rovesciata la luna diurna e cade
al fuoco verticale. Che futuro
ci può leggere il pozzo
dorico, che memoria? Il secchio lento
risale dal fondo e porta erbe e volti
appena conosciuti.
Tu giri antica ruota di ribrezzo,
tu malinconia che prepari il giomo
attenta in ogni tempo, che rovina
fai d'angeliche immagini e miracoli,
che mare getti nella luce stretta
d'un occhio! Il telamone qui, a due passi
dall'Ade (mormorio afoso, immobile),
disteso nel giardino di Zeus e sgretola
la sua pietra con pazienza di verme
dell'aria: qui, giuntura su giuntura,
fra alberi eterni per un solo seme.
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